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L’uso e l’abuso degli animali: spunti per un’azione didattica



L’uso e l’abuso degli animali: spunti per un’azione didattica



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Cambiamenti nel rapporto uomo-cane e problemi emergenti: il caso dei “cani
pericolosi”
Sin dalla sua domesticazione, il cane ha svolto un ruolo prevalentemente
utilitaristico nell’ambito delle comunità rurali, oltre a rappresentare una fonte di
nutrimento per l’uomo. Tuttavia, il progresso socio-economico e l’urbanizzazione
della popolazione italiana nel secondo dopoguerra hanno cambiato il tradizionale
rapporto uomo-cane (e cane-uomo), dando origine a crescenti problemi gestionali.
Infatti, l’adozione di cani di qualsiasi razza e/o taglia da parte delle famiglie italiane
è diventata letteralmente una moda di massa. Da un censimento svolto tra il 2005
e il 2006 dal Ministero della Salute, è emerso che i cani che vivono nelle famiglie
italiane sono circa 5,35 milioni (http://www.ministerosalute.it/canigatti/).
Non è raro oggi che le famiglie nel decidere quale cane adottare si basino sulle
scelte di personaggi famosi, imitandole. Tanto per citare un esempio, quando è uscito
il film “La carica dei 101”, molti genitori regalarono ai bambini un cucciolo di razza dal-
mata; ma il dalmata ha un temperamento difficile da gestire, ed è quindi poco adatto
alla convivenza in un nucleo famigliare che includa bambini e anche anziani.
L’attuale società tende poi a “umanizzare” perniciosamente il cane: ne sono una
testimonianza i fornitissimi settori “per animali” presenti ormai in tutti i supermercati,
dove è possibile acquistare gli articoli più disparati, da cibi speciali di ogni genere, a
utensili per la toeletta, a ninnoli di ogni forma e colore. Non di rado poi, soprattutto
nel caso di persone che vivono in solitudine affettiva, tale distorsione del rapporto
con il cane viene estremizzato, degenerando nel fenomeno noto come “zoomania”:
l’esasperazione del rapporto con l’animale da compagnia, conseguente all’incapaci-
tà, da parte del partner umano, di affrontare rapporti che non siano autoreferenziali.
Si sceglie il cane per evitare altri esseri umani, fonte di onerose difficoltà relazionali.
Nelle forme più esasperate, l’animale, il pet, viene utilizzato come una sorta di spec-
chio per cortocircuiti relazionali.
È bene sottolineare che l’adozione di un cane comporta problemi gestionali,
che se non adeguatamente affrontati, possono alterare nel tempo il rapporto con
questo animale, compromettendone il benessere psico-fisico e aumentando il
rischio di spiacevoli incidenti, principalmente correlati a reazioni aggressive parti-
colarmente intense. Spesso, la triste conseguenza di tali incidenti è l’abbandono
o la soppressione dell’animale. Il caso dei cosiddetti “cani pericolosi” rappresenta
un esempio concretamente consueto di cattiva gestione di questi pet da parte dei
loro proprietari.
Gli episodi di aggressioni canine all’uomo registrati negli ultimi anni hanno aperto
un vivace dibattito sulla potenziale pericolosità di alcune razze canine. Dati prove-
nienti da fonti non ufficiali, quali giornali e notizie pubblicate in rete, riportano che in
media, ogni anno, si verificano 400-700 eventi di aggressione canina all’uomo, oltre
a 1-2 incidenti mortali. Le vittime di tali aggressioni sono prevalentemente bambini e
anziani. Verosimilmente, tali dati sono una sottostima. Molto spesso, infatti, l’evento
non viene formalmente denunciato alle autorità (soprattutto se si verifica in famiglia),
e le persone coinvolte preferiscono patteggiare l’accaduto amichevolmente.
Gli eventi di aggressione canina verificatisi negli ultimi anni (forse anche ecces-
sivamente amplificati da giornali e televisioni) hanno creato un vero e proprio stato
di emergenza sanitaria, e il 9 settembre del 2003, il Ministro della Salute Girolamo
Sirchia (in una Ordinanza d’urgenza, per la tutela dell’incolumità pubblica), ha
redatto una lista di 93 razze canine ritenute potenzialmente pericolose. Tuttavia, il
17 ottobre del 2003, il Consiglio Superiore di Sanità ha attestato che non esistono
razze pericolose” in quanto tali. A seguito di tale parere, l’elenco è stato ridotto
dapprima a 18 razze e, più recentemente, a 17, con l’esclusione dalla lista ufficiale
del mastino napoletano.
Un crescente numero di osservazioni etologiche indicherebbero che la storia
genetica può certamente influire sui livelli di aggressività del cane; tuttavia, anche
l’ambiente sociale in cui l’animale viene allevato, soprattutto durante il periodo cri-
tico dello sviluppo corrispondente alla “fase di socializzazione”, gioca un ruolo fon-
damentale nel determinare le future modalità di approccio e di interazione sociale
sia intra- sia inter-specifica. L’isolamento sociale dell’adulto, la costrizione in spazi
ristretti che limitino la libertà di movimento, gli scarsi rapporti relazionali con altri
cani e/o persone (in primis il proprietario), e in generale le condizioni di vita che
impediscano l’espressione del naturale repertorio comportamentale dell’animale,
sono altre potenziali condizioni ambientali che, compromettendo il benessere psico-
fisico del cane, possono indurre manifestazioni aggressive particolarmente intense.
Inoltre, non sono da sottovalutare un adeguato addestramento dell’animale e la
capacità del partner umano di prevenire, ed eventualmente gestire, quelle situazioni
che potrebbero indurre il cane ad aggredire e mordere. Spesso, gli errori nello stile
di gestione da parte dei proprietari sono imputabili alla scarsa conoscenza dell’eto-
logia di questa specie, di derivazione lupesca. Pertanto, un maggiore approfondi-
mento delle nozioni sul comportamento canino contribuisce sicuramente a ridurre
il rischio di fraintendimento (prevenendo così spiacevoli incidenti) e a migliorare la
qualità del rapporto con questo pet.
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